Negli ultimi anni ho smesso di considerare i servizi online come dei “semplici strumenti” e ho iniziato a vederli per quello che sono davvero: pezzi di infrastruttura. Quando una parte così importante del tuo lavoro sta in mano a qualcun altro, non è solo una questione tecnica: è una dipendenza operativa, strategica e persino narrativa. Il tuo modo di lavorare finisce inevitabilmente per adattarsi ai limiti, alle scadenze e alle logiche di chi quel servizio lo controlla.
Per molto tempo ho usato Google Drive, Dropbox e una lunga lista di piattaforme cloud. Tutte pronte all’uso, comode, semplici da integrare nel mio flusso di lavoro. Poi sono arrivati i segnali: cambi di licenza, funzioni rimosse o spostate nei piani più costosi, limiti di spazio ridotti senza preavviso. Piccole modifiche, ma abbastanza per ricordarmi una verità semplice: se non controlli la tua infrastruttura, è lei a controllare te.
Non è una crociata ideologica contro le big tech. È un calcolo freddo sul rischio e sul costo di restare bloccati quando un servizio decide di cambiare le regole del gioco. E quel costo non è solo economico: si misura in ore perse, progetti rallentati e interi flussi di lavoro da ricostruire.
È in quel momento che ho iniziato a guardare al self-hosted non come a un vezzo per smanettoni, ma come a una leva strategica: costruire un ecosistema di strumenti che risponde solo a me, che posso integrare come voglio e che non dipende dalle decisioni arbitrarie di un consiglio di amministrazione dall’altra parte del mondo.
Nextcloud è stato il primo passo in questa direzione. Un cloud gratuito, privato e completamente personalizzabile, che non si limita a sostituire Google Drive, ma diventa la dorsale di tutto il mio lavoro: file, calendari, progetti, automazioni, comunicazione. Tutto parte da lì, e da lì si connette.
Indice dei contenuti
Cos’è Nextcloud e perché non è solo un “Google Drive open source”
Se cerchi “Nextcloud” su Google, troverai quasi sempre la definizione più sbrigativa: “l’alternativa open source a Google Drive”. Una descrizione che può aiutare a inquadrarlo a grandi linee, ma che allo stesso tempo è riduttiva.
Nextcloud non è solo un servizio di archiviazione file. È una piattaforma modulare che puoi installare e gestire dove preferisci: su un server dedicato, su un NAS come Unraid, oppure su un’infrastruttura cloud privata.
La differenza fondamentale rispetto ai servizi commerciali è che Nextcloud non è stato pensato per essere identico per tutti. Non c’è un’interfaccia costruita per accontentare la media degli utenti, né un set di funzioni predefinito che devi accettare così com’è.

L’installazione base ti offre già uno spazio sicuro per archiviare e condividere file, ma da lì in poi è tutto personalizzabile. Puoi installare moduli per sincronizzare calendari e contatti con qualsiasi dispositivo, integrare un editor per modificare documenti in tempo reale, aggiungere sistemi per la gestione di progetti e attività, creare note, fino ad arrivare a chat interne e videoconferenze.
In altre parole, non stai semplicemente “cambiando fornitore” di cloud, stai costruendo il tuo cloud. E questa differenza, per chi lavora con dati e progetti critici, è enorme.
Non esiste un piano gratuito limitato o un abbonamento che ti obbliga a pagare per sbloccare funzioni essenziali. Le uniche vere risorse a cui devi pensare sono lo spazio di archiviazione e la potenza del server su cui lo ospiti.
Per me, Nextcloud non è stato un ripiego per risparmiare. È stato un investimento di tempo e di attenzione che mi ha permesso di avere uno spazio di lavoro realmente mio. Un cloud che funziona esattamente come serve a me, senza pubblicità, senza limiti imposti da terzi e senza il rischio di doverlo smantellare da un giorno all’altro per seguire le decisioni commerciali di qualcun altro.
Le funzioni che lo rendono il mio centro operativo
Nextcloud è la porta d’ingresso del mio lavoro quotidiano. Ogni progetto, ogni file, ogni documento strategico passa di lì, non solo per essere archiviato, ma per essere gestito, condiviso e collegato agli altri strumenti del mio ecosistema.
La prima funzione che uso ogni giorno è l’archiviazione. Non parlo di “salvare i file” nel senso tradizionale, ma di mantenerli in un ambiente ordinato, organizzato e sempre accessibile. Dentro Nextcloud ci sono archivi fotografici e video in alta risoluzione, bozze di articoli, documentazione tecnica, contratti, report e presentazioni. Ogni cartella segue una logica precisa, con permessi differenziati a seconda di chi deve accedere e per quanto tempo.
La seconda funzione è la condivisione sicura. Quando devo inviare file pesanti a clienti o collaboratori, non uso servizi esterni come WeTransfer. Creo un link diretto da Nextcloud, con password di accesso, scadenza automatica e, se serve, limitazione al singolo download. Potrei dare piena banda di trasferimento, fino a 10 Gb/s, senza compressioni forzate o blocchi di dimensione. Nella pratica la velocità effettiva dipende sia dalle mie limitazioni tecniche, come l’uso di SSD SATA, sia da quelle di chi riceve i file. Anche con queste variabili, il vantaggio è evidente: nessun passaggio intermedio, nessuna pubblicità, nessun limite imposto da terzi. E soprattutto, la consegna dei materiali avviene in modo controllato e con un’immagine molto più professionale.

Un’altra parte fondamentale del mio utilizzo è la gestione dei calendari e delle attività. Nextcloud supporta CalDAV, che mi consente di sincronizzare calendari e scadenze con qualsiasi dispositivo, ma soprattutto di collegarli direttamente a Plane. Attraverso webhook e automazioni con n8n, ogni aggiornamento su un’attività si riflette in tempo reale nel mio task manager, evitando doppi inserimenti o passaggi manuali.
Le app aggiuntive completano il quadro. All’interno di Nextcloud utilizzo OnlyOffice per aprire, modificare e creare documenti direttamente nel browser, senza dover passare a software esterni. Questo mi permette di lavorare in modo collaborativo con clienti e colleghi, mantenendo sempre i file all’interno della stessa infrastruttura.
Uso anche Cospend per tenere traccia e dividere le spese con i colleghi, uno strumento semplice ma utilissimo quando si lavora su progetti condivisi. Inoltre, ricevo direttamente in Nextcloud le notifiche di Mattermost, così posso vedere aggiornamenti e messaggi importanti senza dover saltare continuamente tra più interfacce. In questo modo, anche se sto lavorando su un documento o consultando un file, non perdo mai informazioni rilevanti.
Infine, l’accesso multipiattaforma. Che lavori dall’ufficio o in mobilità, trovo la stessa struttura, gli stessi file e le stesse impostazioni. La coerenza dell’esperienza è un aspetto che considero essenziale: se un file è pronto, posso condividerlo dal Mac in studio o dal telefono in treno con la stessa facilità, senza dover “sincronizzare” nulla manualmente.
In sintesi, Nextcloud non è solo uno spazio dove mettere le cose. È il luogo dove il mio lavoro prende forma, si collega e si muove, mantenendo sempre lo stesso livello di controllo e sicurezza.
Perché self-hosted cambia le regole
Usare strumenti self-hosted non è semplicemente una questione tecnica, è una decisione strategica. Significa scegliere di costruire la propria infrastruttura su fondamenta che controlli direttamente, senza delegare la gestione a terzi che potrebbero cambiare le regole da un momento all’altro.
Quando lavori in cloud commerciale, accetti implicitamente una serie di vincoli: spazio limitato, funzioni a pagamento, modifiche contrattuali unilaterali, politiche di privacy variabili e, soprattutto, la certezza che i tuoi dati vivano in un contesto che non puoi né vedere né toccare. Funziona finché funziona. Ma se domani quella piattaforma decide di rimuovere una funzione che usi tutti i giorni, aumentare i prezzi o imporre nuove limitazioni, il tuo margine di manovra è minimo.
Con il self-hosted la logica si ribalta. Sei tu a decidere dove risiedono i dati, come vengono protetti, quali funzioni aggiungere e quando aggiornarle. Non esiste un piano “gratuito ma limitato”: il limite è solo la capacità del server e della connessione che decidi di dedicargli.
Questo approccio offre tre vantaggi concreti:
- Continuità operativa : se un fornitore chiude o cambia direzione, il tuo lavoro non si ferma.
- Personalizzazione totale : puoi costruire un sistema su misura per il tuo flusso, senza adattarti a un’interfaccia standard.
- Controllo reale dei dati : sai dove sono, chi vi accede e come vengono gestiti.
Ma il self-hosted non è gratis in senso assoluto. Non parlo solo dell’hardware o della connessione, ma della responsabilità che ti prendi. Se qualcosa si rompe, e può succedere benissimo, non c’è un’assistenza clienti a cui delegare la soluzione: sei tu a dover capire dov’è l’errore, come ripararlo e, soprattutto, come salvaguardare i dati. Può essere una caduta di tensione, un disco che inizia a dare segni di cedimento, un aggiornamento che non va a buon fine. In tutti questi casi, il tempo che impieghi a intervenire fa parte del prezzo del controllo.
Per me, il self-hosted non è un atto di isolamento ma di autonomia. Significa avere un’infrastruttura che cresce con te e che risponde solo alle tue esigenze, non a quelle di milioni di utenti generici. Nextcloud è stato il primo passo in questa direzione, e ogni giorno mi conferma che il tempo investito nella sua configurazione vale molto più della falsa comodità di un servizio “chiavi in mano” che non controlli davvero.
Come proteggo i miei file con Unraid
Avere un cloud self-hosted come Nextcloud è un ottimo punto di partenza, ma da solo non basta. Il vero valore sta anche in come proteggi quei dati e in come garantisci che restino accessibili nel tempo. Per questo ho scelto di far girare Nextcloud all’interno di Unraid , una piattaforma pensata per gestire server domestici o professionali con una combinazione di semplicità e flessibilità.
Unraid mi permette di usare dischi di diverse dimensioni, aggiungerli o sostituirli senza dover riconfigurare l’intero sistema, e impostare livelli di protezione basati sulla parità per ridurre il rischio di perdita dati. In pratica, se un disco si rompe, posso sostituirlo e ricostruire il contenuto senza dover toccare il resto dell’array.
Dentro questo ambiente, Nextcloud non vive isolato: fa parte di un insieme più grande, con backup automatici, snapshot programmati e monitoraggio costante dello stato dei dischi. I dati critici vengono replicati, così anche in caso di guasto imprevisto ho più possibilità di recuperarli senza interruzioni significative.

Pro
- Flessibilità : posso aggiungere o rimuovere dischi in base alle necessità, senza dover fare migrazioni complesse.
- Protezione dati : la gestione della parità e delle copie di backup riduce il rischio di perdita.
- Ecosistema modulare : posso far girare Nextcloud insieme ad altri servizi (come Plane o Mattermost) nello stesso ambiente, mantenendo tutto integrato.
- Monitoraggio integrato : Unraid segnala in anticipo eventuali problemi hardware, così posso intervenire prima che diventino critici.
Contro
- Responsabilità totale : se qualcosa va storto, devo essere io a capire il problema e intervenire.
- Costi hardware : dischi di qualità, controller affidabili e un server stabile hanno un prezzo iniziale non trascurabile.
- Tempo di gestione : aggiornamenti, controlli periodici e manutenzione richiedono ore che devi mettere in agenda.
- Punto singolo di intervento : se il server si ferma per qualsiasi motivo, fino a quando non lo rimetto in piedi tutto l’ecosistema resta offline.
Detto questo, se l’ambiente è progettato con criterio e mantenuto in modo corretto, gran parte dei problemi si possono prevenire o arginare. Unraid, unito a un piano di backup e a un monitoraggio costante, permette di recuperare i dati in maniera relativamente semplice anche in caso di guasto grave. La differenza sta tutta nella preparazione: più la struttura è solida, più la ripartenza è rapida e indolore.
Il primo tassello di un ecosistema più grande
Nextcloud non è semplicemente un “cloud gratuito” che sostituisce Google Drive o Dropbox. È il cuore di un ecosistema self-hosted costruito per garantire continuità, controllo e adattabilità. È il punto in cui si incontrano file, calendari, documenti, automazioni e comunicazione, e da cui tutto può essere distribuito, condiviso e protetto secondo le mie regole.
Scegliere di lavorare così significa accettare un patto: avere più potere decisionale, ma anche più responsabilità. Quando tutto è sotto il tuo controllo, non puoi dare la colpa a un provider esterno se qualcosa si rompe. Ma puoi anche essere certo che, se l’ambiente è progettato con criterio e mantenuto con attenzione, la tua infrastruttura non solo resiste ai problemi, ma è in grado di ripartire senza compromettere il lavoro.
Questo è solo il primo tassello di una visione più ampia. Nei prossimi approfondimenti parlerò degli altri nodi di questo ecosistema: Plane, il project manager che lavora in sincronia con Nextcloud; Mattermost, il mio centro di comunicazione operativa; e naturalmente Unraid, la base fisica e logica che sostiene tutto. Perché il self-hosted non è un singolo software, ma un insieme di scelte coerenti che, quando si incastrano alla perfezione, diventano un vantaggio competitivo che nessun abbonamento può offrire.
